Narrato
<<-Parlato>>
<<-Pensato>>
Parlato Altrui
Può essere così fragile l’uomo? Possibile che il suo credo sia fondato da un essere che non esiste?
Da un uomo o donna che neanche li guarda, non permette loro di udire la loro voce, che non da una parola di conforto?
Come fanno ad urlare, morire, combattere in nome di un essere che li ignora? Che non sta loro vicino quando perdono qualcuno a se caro, quando credono di aver perso tutto eppure, nonostante ciò essi continuano a giurare loro fedeltà, continuano a pregare in loro nome, a chiedere benessere.
La loro mente confusa da queste false speranze, dalle favole che vengo proposte loro solo per saziare il loro desiderio di vedere tutto in bianco, per abbandonare il nero in un angolo remoto.
Nessuno di loro si è mai accorto che c’è un altra via. C’è un’altra possibile strada da seguire.
C’è una via che sta nel mezzo di tutto ciò.
Una via che non è ne bianca ne nera, una via che non costringe l’uomo a soffrire urlando la propria disperazione a qualcuno superiore a loro, di maledirlo quando qualcosa va male.
La verità era che nessuno essere doveva cedere a ciò, non doveva basare le proprie credenziali in qualcosa che non esisteva, riporre in ciò la propria speranza e vita. Non ne valeva la pena.
Non valeva la pena crogiolarsi in tutto ciò, non ne valeva veramente la pena.
Tutto ciò lo aveva imparato a sue spese, aveva compreso che tutto quello che sentiva, le chimere che sentiva erano, per l’appunto, solo chimere. Probabili storie fantastiche rifilate al popolo solo per dargli uno spiraglio di luce che in realtà, non esiste. Una probabile invenzione dell’uomo.
Lui non aveva degli ideali basati su Dei, un Dio o chissà cos’altro. Non voleva avere una fede, non voleva riporre le sue speranze in ciò.
Credeva solo nel fato, nelle occasioni, nelle possibilità ma a niente di ciò che era soprannaturale o eventuali ramificazioni di ciò.
Forse in quel fatidico giorno, qualcosa lo stava per stravolgere, stava per bloccargli la via che aveva deciso di percorrere ma solo perché era stata bloccata non significava che si sarebbe fermato.
Continuava a scrivere tra le sottili dita la lettera che da poco gli era stata recapitata.
Era seduto la, in quel vecchio salotto ormai polveroso. La poltrona in velluto rosso lo aveva accolto tante di quelle volte che aveva perso il conto però, la cosa più strana era il fatto che essa non era di sua proprietà. Nulla in quel luogo era di sua proprietà o almeno credeva. Non sapeva se quella era veramente la sua casa, se quelle mura lo avevano visto crescere, se quella casa era della sua famiglia nulla.
Gli occhi puntati su quelle parole scarlatte, vive, accese. La calligrafia chiara e ben delineata.
Recati alla grotta, il tuo destino ti aspetta.Erano parole semplici, chiare, esplicite ma, non era ciò a stupire l’inglese ma l’inchiostro che era stato usato per scrivere quel messaggio. Avrebbe riconosciuto quel liquido ovunque, anche tra milioni sarebbe riuscito a distinguerli.
Riusciva addirittura a sentire il sapore rugginoso e freddo: sangue.
<<-Chi mai scrivere una lettera come questa con codesto liquido vitale?>>Si domandò sapendo che non avrebbe ma sentito una risposta, mai avrebbe udito una voce che avrebbe risposto a quel quesito.
Quel luogo era completamente vuoto, neanche un anima girovagava tra quelle mura a parte lui.
Girò il foglio ingiallito notando che vi era qualcos’altro. Sembrava essere una mappa, anch’era era precisa e chiara come le parole che da poco aveva letto.
Un sorriso beffardo lo sfiorò vedendo quella famosa
“X” che segnava la sua meta, una semplice lettera anch’essa viva come il sangue che gli scorreva per le vene.
Posò lo sguardo scuro sulle mani sentendo qualcosa di strano scendergli per l’indice. Era una semplice goccia di sangue. Sembrava essere indifesa, così piccina in mezzo a ciò che la circondava.
Copiosa scendeva raggiungendo il dorso della mano per poi infine cadere sul pavimento liscio.
Sussultò appena vendo che non era la sola, sotto di se c’era una pozzanghera scarlatta.
Si strinse contro i braccioli della poltrona guardandosi in torno velocemente.
Dalle mura erano iniziate a scendere lente gocce macchiandole, lasciando un’ alone che no se ne sarebbe andato.
No, non di nuovo!
Si alzò di scatto tentando di fuggire da quella stanza, tentando di scappare da quell’inferno.
Non ebbe neanche il tempo di varcare la soglia che anche la stanza accanto stava subendo lo steso mutamento. Avrebbe urlato, avrebbe maledetto qualcuno, doveva scappare.
La rabbia, la frustrazione, il dolore, tutto ciò lo stava inondando rischiando di diventare folle, di permettere alla pazzia di colpirle le zone più remote della sua mente.
I suoi occhi era confusi, sconvolti nel rivedere nuovamente quello spettacolo. Già una volta erano stati costretti a sopportare ciò, on avrebbe permesso che sarebbe successo di nuovo.
L’ampio salotto dove era ora sembrava essere colmo ormai di quel liquido grumoso, sembravano essere state create con quel materiale.
Si morse con forza il labbro guardando qualcosa che era posizionato di fronte a lui.
Era uno specchio antico, probabilmente del periodo barocco. Varie fantasie di foglie e piante erano state scolpite nella cornice in legno massiccio ma nel vetro non c’era il suo riflesso, non vedeva la sua pelle olivastra, li occhi mori ed i lunghi capelli della stessa tinta.
C’era un viso pallido, dal colore cadaverico. Gli occhi bluastri persi un espressione in un espressione vitrea, un sorriso spento era sul volto di quella bambina ma dalle labbra scendevano gocce scarlatte macchiandole il mento pallido.
-Tu mi hai lasciato la… in quelle scale… non mi hai salvata, mi hai abbandonato…-Forse la sua mente gli stava giocano un tiro mancino? Come poteva sentire la voce di una bambina morta ormai da un anno quasi.
Il moro si strinse le mani formando due pugni, le vene sul dorso risaltarono, la rabbia scorreva tra di essere sempre spinto da tale sentimento, afferrò un oggetto qualunque che si trovava sul comodino accanto a se lasciandolo contro la sua allucinazione, contro il fantasma di quel passato.
<<-Smettila di tormentarmi!!!>>Urlò scaraventando l’oggetto sferico che teneva tra le mani.
Non appena si scontrò contro lo specchio, un sonoro
“CRACK” rimbombò per la stanza, pezzi di vetro volarono per l’area della stanza andando a scontrarsi contro muri ed il parquet.
Il cuore batteva maledettamente veloce, il corpo rimasto immobile dopo il lancio, gli occhi puntanti ancora su quell’immobile decorazione.
Sembrava che grazie a questo suo intervento, le allucinazioni erano scomparse. La stanza era tornata pulita e limpida, le pareti bianche e candide come la fredda neve invernale.
Era passato un anno ma quel capitolo della sua vita non si era ancora chiuso. Ancora la notte era perseguitato da quelle tenebrose immagini, da quei volti abbandonati e dagli sguardi spettrali.
Non poteva più stare in quel luogo, doveva scappare da quella casa forse, quella lettera lo avrebbe potuto aiutare.
Con passo svelto e felpato, si avviò verso la porta afferrando solo le chiavi nel caso un giorno gli sarebbero potuti servire.
Il luogo che era segnato sulla mappa come punto di arrivo non era distante dalla sua abitazioni anzi, era proprio vicino.
Quando uscì dall’abitazione una fredda ondata di vento lo colpì facendogli rimpiangere di aver abbandonato il giaccone in casa ma non aveva nessuna intenzione di tornare nell’abitazione.
Sbuffò iniziando ad incamminasi e nascondendo una delle mani nelle tasche dei pantaloni neri.
Quella mattina, la città sembrava essere morta, neanche un anima vi era per le strade, neanche un rumore lo accompagnava in quel cammino lasciandolo da solo, abbandonandolo come aveva già fatto la vita ma non si preoccupava di questo, ormai si era abituato a tutto ciò.
Una fastidiosa nebbia stava iniziando a scendere decidendo di andare contro i programmi dell’inglese ma lui non avrebbe demorso, non avrebbe abbandonato per così poco. Figurarsi.
Sapeva che doveva raggiungere la periferia Londinese e camminare per un paio di kilometri ma non badò a questo, la cosa che lo rendeva pensieroso era quel messaggio cos misterioso non capendo cosa volessero da lui.
Cosa poteva fare lui, che neanche si conosceva, per cloro che lo stavano cercando?
Avrebbe scoperto ciò non appena arrivato.
Svariate case di proponevano alla sua vista, giardini ben curati mettevano in risalto quelle costruzioni, giochi abbandonati per i prati gli donavano brividi e risvegliavano ricordi a lui sgraditi.
Stava camminando ormai da un’ora forse o anche più.
Aveva sentito mutare il terreno sotto le suole varie volte, la fitta nebbia ormai era scesa nascondendo il paesaggio e rendendo la sua ricerca ancora più faticosa.
Era forse arrivato ma non lo sapeva? Mancavano ancora miglia o metri?
Scosse la testa guardando per la centesima volta quel foglio e studiandolo attentamente. A suo parere gli sembrava aver raggiunto la meta ma nulla vedeva, tutta colpa di quella nebbia.
Si voltò di scatto udendo qualcosa, come rumori di passi. Strana fu la sua reazione vedendo una figura avvinarsi a lui. Sembrava essere un uomo ma la nebbia gli rendeva impossibile distinguere i connotati.
Continuava ad avvicinarsi ma era ancora impossibilitato dal riuscire a vedere il suo volto.
Un urlò gli morì in gola quando quella figura lo accostò sorpassandolo.
Non aveva una faccia, una bocca, gli occhi… nulla a parte una sottile bocca. Era solo un volto.
Sentì il cuore nuovamente iniziare a battere ancora più veloce accelerandogli la circolazione.
-Andiamo, Leonard…-Sentì quella voce profonda accarezzargli l’udito e sgranò gli occhi capendo che proveniva proprio da quello sconosciuto.
<<-Come fai a sapere il mio nome…?>>Domandò in vano, egli non si era degnato di rispondergli. Si era limitato a muovere la testa facendogli segno di seguirlo.
L’estraneo aveva folti capelli mori, proprio come i suoi. Il fisico sembrava essere forte e deciso,ben delineato ma non sapeva definire un età, essa gli era sconosciuta.
Doveva seguirlo? Fidarsi di quell’estraneo?
Non lo sapeva… troppi eventi stavano succedendo il quel giorno.
Fu costretto a pendere una decisione così su due piedi. Se non l’avesse seguito, lo avrebbe perso.
Sbuffò maledicendo la sua curiosità iniziando a correre inseguendo l’uomo. Era costretto a correre perché l’estraneo sembrava scivolare per i terreno ruvido, sentiva i sassolini sotto le sue suola scivolare. Probabilmente si trovava in un luogo roccioso.
Avrebbe voluto proferire parola, chiedere come faceva a conoscerlo ma non appena apriva bocca, le parole morivano sulle labbra.
Si bloccò di scatto quando la sua guida si fermò. Dosa avrebbe fatto adesso?
-Leonard, io devo andare. Sono stato felice di averti accompagnato in questo luogo, nel nostro luogo segreto ancora una volta. Ti prego, non fare cose avventate e non fare preoccupare tua madre. Buona fortuna e… rendici fieri.-<<-Madre…?Rendervi fieri…? Aspetta!>>Urlò vedendo un sorriso sfiorare il viso vuoto dell’estraneo per poi sparire improvvisamente.
La nebbia stava iniziando a dissolversi accompagnando quello strano essere.
La confusione più assoluta regnava nella sua testa, la paura movimentava il suo cuore ma tutto ciò scomparve per qualche secondo quando si accorse dove si trovava.
Di fronte a se c’era una parete rocciosa, grigia come il cielo plumbeo della sua città natia. Proprio in mezzo ad esso c’era n foro, poco più alto di un uomo ma ad occhio e croce, sembrava essere accessibile.
Sobbalzò quando si guardò accanto vedendo che c’era uno strapiombo.
Se non avesse seguito quell’estraneo, avrebbe potuto rischiare di cadere e finire male.
Espirò alzano lo sguardo e puntandolo nuovamente sull’apertura che aveva di fronte.
Ormai, la giornata era iniziata in maniera strana per cui, strano per strano…
Si portò le mani in tasca avanzando a grandi falcate ed entrando dentro quel luogo.
Chissà cosa lo avrebbe atteso ora…