CITAZIONE
† Amen, Addestramento per la Black Bronze Cloth del Cigno
~ Last Chapter † The Fallen Son † Goodbye Wonderland
Fu un tremito quasi impercettibile quello che percepì lo spirito, quando nella realtà, invece, il mondo stava collassando pezzo dopo pezzo. Era in piedi, accanto alla grossa finestra posta all’ultimo piano della torre, stringendo in mano una sfera di cristallo vi vide all’interno il suo riflesso e pensando che ancora una volta quello non fosse altro che il riflesso di suo padre, lanciò la palla di cristallo in terra per infrangerla in migliaia di scintillanti frammenti.
Lo sguardo poi si alzò di nuovo, vide gli uccelli Jab Jab volanti attorno alla torre cadere ad uno ad uno al suolo, morti e secchi quasi fossero più che altro fatti di malto e pietra più che di carne e sangue. Un boato lontano avviso il mondo che Hueco Mundo, da qualche parte, aveva schiuso i suoi cancelli alla luce del creato cadente ragguagliando, con il boato appena udito, che anche lo Snark aveva rimesso piede nel mondo, pronto a liberare una goccia di caos in più in un mare magnum di corruzione e morte.
“poco male” -disse tra se e se con estrema calma-
"quel che potevo fare l'ho fatto...". E nel mentre anche le pietre infinitamente immobili della Torre Nera cominciavano a emettere i primi timidi tremolii. Chiuse pertanto gli occhi quasi in una smorfia di dolore, ripensando agli immensi sforzi affinchè il suo regno restasse in piedi, e ripensando anche a quanto vani quegli stessi sforzi erano stati. In quel momento avrebbe desiderato non essere solo, per la prima volta persino la voce di Vincent non gli sarebbe dispiaciuta. Morto il Jabberwock dentro se, immolatasi la nera creatura per dare una botta di forza in più alla nera e vecchia Cloth di Black Virgo, Amen si era sentito sì più forte ma infinitamente più solo.
A metà tra chi sta per dare di matto e chi sta per piegarsi su se stesso e lasciarsi morire, si avviò verso il suo trono nero come la notte e li si sedette, sistemando il mantello rosso cremisi che era appartenuto al Re Rosso, poggiandosi l’elmo sulla gamba destra, e poggiando la testa sul pugno chiuso della mano sinistra, quasi dovesse ricevere a corte l’ennesima visita di Gabriel, metà chirurgo e metà saltimbanco, o magari di Marzius desideroso ancora di sfidarlo ad una “amichevole” schermaglia a scacchi.
Così non sarebbe stato, il Kosmos tremò ancora, stavolte più forte e potente. La torre emise un verso più simile al lamento di una fiera che al cigolio di mura e legno del quale era (solo in parte) composta. Dal di fuori si sentirono sorrisi, urla, grida, pianti, righi, crepiti, rumori, odori, ricordi: erano le rose del Can Ka-No Rei che appassivano ad una ad una, portando con loro tutto quel che dei vari mondi avevano registrato. Morendo come se con ognuna di esse morissero un milione di universi!
Restò seduto, impassibile, mentre il cielo smetteva di essere, e così con esso smetteva di essere la materia della terra. Rimase impassibile quando sentì il Kosmos piegarsi su se stesso di nuovo, ancora, forse per l’ultima volta. Rimase impassibile quando percepì distintamente l’ultimo vettore infrangersi dando il colpo di grazia a qualsiasi creatura fosse rimasta ancora viva (Snark compreso). Così morì… in maniera impassibile.
La Torre Nera, Nexus dei mondi, massima costruzione di Wonderland, baricentro dell’universo dimensionale, cadeva adesso in pezzi schiacciando sotto il peso di un milione di milioni di mondi il suo tracotante Re Nero. E così Amen Vegenance morì.
Vi fu un esplosione sorda di energia rilasciata con il vigore di un ennesimo Big Ben (illusi voi che credete ve ne sia stato solo uno!), poi una mescenza di neri e grigi e blu. Poi infine arrivò una luce bianca, ma ad allora dalla morte di Amen erano già passati eoni…
CITAZIONE
† Vincent Vegenance ~ First Chapter † The Dream
Quella mattina Vincent si svegliò di buon umore, un tubare poco distante dalla finestra lo fece sorridere mentre si alzava dal letto. L’Estate si andava concludendo, Londra si riempiva di nuovo di londinesi e si svuotava di turisti, sarebbe dovuto scendere in strada il prima possibile se voleva che qualche coppia di ragazzotti in visita a Kensington lo interrogasse sul prezzo dell’ennesimo melenso ritratto, tuttavia la fretta non trovò strada in lui più di quanto avesse fatto, quella mattina, una forsennata ispirazione!
Si alzò con la solita placida flemma, scansando panni sporchi sparpagliati a terra come mine su un campo da guerra e, piano piano, se ne andò in bagno. Ne uscì una mezz’ora più tardi, più fresco e con il volto carico di voglia di dipingere. Si legò i lunghi capelli neri in una liscia coda scura e inforcati i sottilissimi occhiali si mise davanti alla tela e cominciò a rimuginare su quanto quella notte aveva sognato.
Nel sogno Vincent aveva visto una distesa rosso cremisi, un luogo bellissimo: un campo di rose rosse. In mezzo ad esso si ergeva una torre scura senza porte e con una sola finestra, una terrazza, posta alla sua sommità che dava sul campo di rose quasi fosse li affinchè il proprietario della torre si affacciasse per sorvegliarlo. Lontano, tra lui e la torre, vi era un uomo nudo. Un uomo che sembrava somigliarli tanto, ma che in effetti non era lui. Era un uomo triste, un uomo solo, un uomo che le rose di quel campo chiamavano Re. Un re svestito in mezzo alle rose, un Re nudo.
Aveva una memoria fotografica invidiabile, ma mai come allora un sogno gli si era impresso così vividamente nella mente, la cosa per un attimo quasi lo turbò, lo inquietò, ma fu solo un istante, quasi un riflesso incondizionato della mente e dello spirito. Accese la radio per sentire quel che nel mondo accadeva (spesso ne aveva tratto anche ispirazione), aveva appena deciso che le coppiette di Kensington potevano anche andare a farsi fottere, quella mattina voleva dipingere solo per se! Andò verso una piccola libreria di legno che lui stesso aveva messo in piedi con gli scarti di una falegnameria pagati per qualche sterlina, raccattò tutto il nero ed il rosso che gli sarebbe servito per la sua tela.
“di nero e rosso quel Re nudo deve averne visto tanto, spero di farcela con la tempera che ho…”Poi prese ben sette pennelli diversi (mai ne usava così tanti insieme perché i pennelli di crine costavano Dio solo sapeva quanto!) ed inforcata la tavolozza sulla mano cominciò a dipingere il suo personalissimo sogno. Di norma non era suo uso cominciare a dipingere un quadro dal mezzo (troppi problemi di prospettive, volumetrie e spazi), ma stavolta un istinto incontrollabile gli chiese di andare avanti a piccoli passi: sarebbe partito dal Re, una piccola figura rosa al centro del quadro, poi sarebbe passato alla imponente torre, già ribattezzata “La Torre Nera”, poi avrebbe dipinto le rose, spettacolari, quasi universalmente riconoscibili come “le rose perfette” e poi avrebbe colorato il cielo, scuro, buio, a metà tra il grigio ed il cianotico. Un cielo triste da funerale.
Ci avrebbe messo quasi tutto il giorno…