| *La ragazza attendeva trepidante la risposta di Altair dalla smeraldinea armatura, ma solo tre parole, in un sussurro appena più intenso della brezza che delicata soffiava in quel magico luogo, uscirono dalle sue labbra. Un'ordine, o forse un invito, a seguirlo in un luogo che andava ben oltre i confini del mondo umano. Per quanto intimorita, però, Shizuka non esitò a seguirlo e varcare lentamente la soglia di quel castello immerso nel più totale silenzio. Appena entrata, ciò che vide le mozzò il fiato: un bellissimo ingresso, di pregiatissimo marmo nero, dai soffitti talmente alti negli angoli non illuminati dai meravigliosi lampadari veneziani che pendevano e illuminavano la stanza di una fioca luce azzurrognola e brillavano di mille colori. Robuste colonne corinzie in marmo reggevano il soffitto, lunghe e snelle, adornate sulla cima da un elegante capitello a motivi floreali. La sala era immensa, il lato opposto all'entrata si perdeva nella penombra, ma Shizuka poteva comunque distinguere chiaramente un lungo velo grigio che copriva quello che, alla fioca luce che illuminava la stanza, pareva a prima vista un trono, grande e finemente lavorato, dal cui schienale sembrava crescessero grandi ali di angelo. Più che un castello, all'interno pareva un tempio, un santuario in cui i fedeli andavano a pregare il Signore dei Morti chiedendogli favori e altro, o solo ringraziarlo per aver donato loro nuova vita.* °Un po come è successo a me...° *Pensò la ragazza mentre avanzava lentamente seguendo l'altro e intanto guardandosi attentamente intorno. Era sempre più affascinata da ciò che vedeva, sempre più emozionata. Si riscosse in tempo per vedere che la sua guida, che sembrava in un primo tempo essere diretta verso il trono, aveva deviato a destra, dirigendosi appunto verso la parete laterale. Non l'aveva notata prima, occupata com'era ad ammirare la maestosità di quel castello-tempio, ma sulla suddetta parete era presente una grande porta di un robusto legno nero, lucida e abilmente incisa. Poco prima di varcarla, la osservò minuziosamente, e scoprì che vi era incisa una bella stella a cinque punte racchiusa in un cerchio, e sotto delle parole latine. Li per li non ci fece caso, ma il significato le 'rivelò', se così si poteva dire, la meta del loro viaggio... Solo un luogo poteva avere come frase di benvenuto le parole 'Mors Tua Vita Mea'.... La tua morte è la mia vita... Quella porta poteva condurre solamente agli Inferi. Un leggero brivido percorse la schiena della ragazza, ma senza ulteriori esitazioni quella seguiva l'uomo, che avanzava tranquillo in silenzio. Al di la della porta lignea, si snodava una lunghissima e continua rampa di scale a chiocciola, intorno a un abisso cilindrico del diametro di dieci metri del quale era impossibile scorgere il fondo. Solamente qualche lontana luce verdognola, accompagnata da agghiaccianti grida di dolore, balenava di tanto in tanto. Impiegarono parecchio tempo per discendere gli innumerevoli gradini in pietra, ma alla fine si ritrovarono in un grande spiazzo di terra arida e grigia, deserta completamente a parte qualche nero albero secco che si protendeva dai lati come chiedessero scampo da quella prigionia. Tuttavia, nel mezzo della desolazione più totale, in cui i colori nero, grigio e viola la facevano da padroni, campeggiava a una decina di metri da loro un arco immenso, di un accecante bianco neve, un arco che poteva ricordare gli archi di trionfo che una volta i romani costruivano per commemorare una importante vittoria e quindi servivano da incoraggiamento per coloro che ne posavano gli occhi sopra. Tuttavia, mentre i due, unici ad avere una parvenza di vita in quel luogo che sapeva di morte, si apprestavano a varcare l'arco, la ragazza notò che anche su questo erano incise grandi lettere d'oro, tali da formare una frase: 'Lasciate Ogni Speranza, Voi Che Entrate'. Giunsero quindi alla soglia dell'Inferno, quell'arco all'apparenza così puro ma in realtà così minaccioso, senza ancora varcarla*
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